Pubblica amministrazione italiana
ordinamento giuridico italiano, indica il complesso degli enti pubblici facenti parte della pubblica amministrazione della Repubblica Italiana.
Con la nascita della Repubblica Italiana e l'entrata in vigore della Costituzione, gli articoli 97 e 98 della Carta accolsero la soluzione opposta, attribuendo la titolarità della funzione organizzatrice al Parlamento della Repubblica Italiana, che la esercita attraverso atti di eteronormazione, sancendo così l'assoluta preminenza del principio di legalità.
Dal punto di vista dell'organizzazione degli organi amministrativi dello Stato, la Costituzione sancì il passaggio da un'organizzazione di tipo centralizzato, dove le funzioni amministrative erano attribuite agli organi centrali dello Stato, ad un'organizzazione di tipo decentrato, dove le funzioni amministrative vengono ad essere svolte da enti territoriali a livello locale; in quest'ottica assumono grande importanza gli artt. 5, 114 e 118 della carta costituzionale, cui ulteriori disposizioni diedero concreta attuazione come la legge 16 maggio 1970, n. 281, e la legge 22 luglio 1975, n. 382.
Un nuovo processo di riforme ha interessato pubblica amministrazione a partire dagli anni novanta del XX secolo, che ha visto essenzialmente la contrattualizzazione del pubblico impiego in Italia, che ha portato alla privatizzazione del diritto del lavoro pubblico nel paese - che introdusse la possibilità per i dipendenti di iscriversi a sindacati - ed il decentramento di molte funzioni dallo Stato agli enti locali, e riformando tutta l'attività sulla base di diversi criteri; ad esempio in tal senso furono emanate le leggi Bassanini.
Il più ampio decentramento amministrativo viene realizzato concretamente attraverso l'attribuzione delle relative funzioni ad organi diversi da quelli centrali, ovvero gli enti locali.
Non solo si prevede l'attribuzione delle funzioni amministrative ad organi periferici dotati di diversi gradi e tipi di autonomia, ma si attribuisce ai cittadini il potere di agire in via sussidiaria per lo svolgimento di attività di interesse generale, ossia quelle per cui è prevista la pubblica amministrazione.
La Costituzione, attribuendo al parlamento della Repubblica Italiana la funzione organizzatrice, ha anche stabilito il principio dell'assunzione di personale nella P.A. mediante concorso pubblico, ciò al fine garantire la meritocrazia e il passaggio fra le cariche da un rapporto fiduciario a un rapporto impersonale, caratteristico di un moderno stato di diritto.
Non ne fanno parte infine gli enti pubblici economici (es. aziende municipalizzate) ed il CONI, ai sensi del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15 che lo ha riformato, trasformandolo in ente pubblico non economico. Sussistono poi particolari eccezioni, dovute alla natura e all'attività pubblica di taluni enti, come ad esempio l'Unione Italiana Tiro a Segno.
L'amministrazione pubblica si differenzia dall'impresa per l'assenza di scopo di lucro. Dal punto di vista contabile, una P.A. non dichiara né un utile né profitti, ed inoltre non è soggetta all'istituto del fallimento; è però generalmente tenuta a redigere e tenere un proprio bilancio d'esercizio ed è tuttavia passibile eventualmente di liquidazione amministrativa. La pubblica amministrazione è dotata di personalità giuridica, ma è esclusa dalle forme di questa tipiche delle imprese private, previste nel diritto societario.
Nel corso del tempo - soprattutto a partire dagli anni novanta del XX secolo - a causa di vari fattori e soprattutto sotto la spinta normativa dell'Unione europea, si sono prodotte varie riforme legislative che hanno introdotto la privatizzazione di diverse attività, lasciando però alla diretta gestione della pubblica amministrazione taluni settori di importanza strategica (alcuni dei quali in concorrenza con gli operatori privati): la difesa, l'ordine pubblico interno, la giustizia, la sanità, l'istruzione scolastica ecc..
L'attività della P.A., sulla base del dettato costituzionale, si svolge all'insegna dei criteri di "buon andamento" e "imparzialità";[4] può essere un'attività tipicamente autoritativa, unilaterale e burocratica, oppure di matrice consensuale. Essa è organizzata e informata sulla base dei seguenti principi e criteri:
La responsabilità della PA è solo una responsabilità civile, e non penale, in quanto essa non può agire contra legem. La pubblica amministrazione è responsabile, invece, in modo solidale con il soggetto agente esclusivamente quando ricorra colpa lieve. L'unico caso in cui l'agente possa essere responsabile esclusivo, sia civilmente che penalmente, ricorre quando il suo agire esuli completamente dai fini perseguiti dalla P.A. interessata.
L'attività del personale impiegato presso le pubbliche amministrazioni italiane, è soggetta ad un sistema di valutazione - introdotto dal d.lgs 27 ottobre 2009, n. 150 - mediante un meccanismo denominato ciclo di valutazione della performance - con rilevanza di tale valutazioni sulla carriera,[7] con esclusioni in taluni casi, riguardanti le amministrazioni che abbiano determinata consistenza dell'organico del personale.[8]
I concorsi pubblici per le assunzioni nelle amministrazioni dello Stato e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale.[10] In particolare, l'accesso alla P.A. italiana avviene:[11]
Non sono inoltre previste limitazioni per gli obiettori di coscienza ammessi a prestare il servizio civile obbligatorio, salvo che per qualsivoglia impiego che comporti l'utilizzo di armi e per l'arruolamento nelle forze armate italiane e nelle forze di polizia italiane a ordinamento militare e/o civile,[17] tranne che nel caso essi abbiano rinunciato allo status di obiettore.[18] Il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ("Codice dell'ordinamento militare") ha previsto una riserva obbligatoria dei posti messi a concorso, pari al 30%, per l'assunzione agli impieghi civili nelle pubbliche amministrazioni di personale a favore degli appartenenti alla categoria dei militari di truppa delle forze armate italiane al termine della ferma o rafferma, congedati senza demerito, fermi restando i diritti dei soggetti aventi titolo all'assunzione obbligatoria ai sensi del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509 e della legge 12 marzo 1999, n. 68.[19] La riserva, come precisato dal parere del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 11 aprile 2012, non si applica relativamente all'assunzione di personale dirigente.[20]
Circa le limitazioni, il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 dispone l'esclusione di taluni soggetti in particolari situazioni:
Ai sensi dell'art. 7 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 - convertito in legge 11 agosto 2014, n. 111 - i distacchi sindacali di cui beneficiano i dipendenti a seguito del processo di "privatizzazione" del rapporto di lavoro sono stati ridotti del 50%. Per le forze di polizia ad ordinamento civile ed il corpo nazionale dei vigili del fuoco si prevede invece che alle riunioni sindacali passa partecipare un solo rappresentante delle organizzazioni sindacali interessate, come peraltro precisato dalla circolare del Ministero per la funzione pubblica n. 5/2014.[22]
I dipendenti sono anche destinatari di particolare disciplina riguardo al comportamento durante il servizio: la regolamentazione è contenuta nel D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62[23] che ha sostituito il precedente decreto del Ministro per la funzione pubblica datato 28 novembre 2000. Dal 2009 sono state introdotte nuove ipotesi di licenziamento disciplinare.[24] Inoltre, in base all'art. art. 1 comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 prevede particolari protezioni (inclusa la non licenziabilità) a favore del personale che abbia segnalato condotte illecite da parte di colleghi o superiori, alla magistratura italiana, inclusa la Corte dei Conti. In tema di incompatibilità e di inconferibilita di incarichi, inclusi quelli dirigenziali, è intervenuto il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, che prevede particolari disposizioni in materia. Il personale delle amministrazioni pubbliche qualora svolga attività a contatto con il pubblico sono inoltre tenuti a rendere conoscibile il proprio nominativo mediante l'uso di cartellini identificativi o di targhe da apporre presso la postazione di lavoro, tranne che nelle ipotesi previste dalla legge.[25]
I dipendenti pubblici italiani possono infine chiedere il rilascio (anche per i familiari) di particolare documenti, le tessere AT e BT (le prime di colore verde, le seconde colore azzurro) che fungono da documento di riconoscimento in Italia; per gli appartenenti alle forze armate italiane è invece previsto il rilascio della Carta multiservizi della Difesa.
Anzitutto le pubbliche amministrazioni, prima di indire nuove procedure concorsuali per il reclutamento di personale per la copertura di posti vacanti in organico, devono attuare le procedure di mobilità secondo l'art. 1, comma 1 del d. lgs 30 marzo 2001, n. 165.[28] Si deve poi ricordare che che la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per l'anno 2006)[29] all'art. 1, comma 230 stabilì un limite minimo di permanenza, da parte dei vincitori di concorso, in prima assegnazione presso l'amministrazione presso la quale essi prestino servizio:
La norma tuttavia non si applica al personale docente del comparto scuola, che prevede invece uno specifico vincolo biennale sulla sede e triennale nella provincia di assunzione.[30] Tale vincolo non si applica al personale portatore di handicap,[31] mentre per il personale ATA attualmente non si prevede alcun vincolo. L'art. 4 del predetto decreto-legge n. 90/2014 ha disposto che nello stato di previsione del bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze, venga previsto un fondo destinato al miglioramento dell'allocazione del personale presso le pubbliche amministrazioni, da attribuire alle amministrazioni destinatarie dei predetti processi, e al quale confluiscono risorse economiche pari al trattamento economico del personale dell'amministrazione cedente, i cui criteri di utilizzo e le modalità di gestione delle risorse vengano stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze.
Riguardo alla mobilità vera e propria, essa può essere classificata secondo le seguenti tipologie:
Il vincolo suindicato della prima assegnazione quinquennale non è quindi di impedimento alla mobilità per interscambio, disponibile a prescindere da limiti temporali. Tuttavia la norma parla di profilo professionale e non di qualifica.[non chiaro]
In base alla seconda, disciplinata dal d. lgs 30 marzo 2001, n. 165 ma introdotta dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, si prevede che i dipendenti pubblici possano essere trasferiti, nell'ambito della stessa amministrazione o tra amministrazioni diverse previo accordo tra le stesse, ad altro ufficio entro un raggio di 50 km poiché esse costituiscono medesima unità produttiva ai sensi dell'art. 2103 del codice civile italiano:
La terza infine - sempre disciplinata dal d. lgs 30 marzo 2001, n. 165 - è regolata nelle modalità e condizioni; viene stabilito però il requisito dell'assenso della amministrazione di appartenenza, tranne in alcuni casi:
In quest'ultimo caso distinguiamo quindi, riguardo alla mobilità volontaria espressa dal lavoratore, la prescrizioni per le pubbliche amministrazioni nei confronti delle quali si fa domanda di trasferimento procedere alla formazione di apposite graduatorie;[34] nel secondo caso invece viene specificata la mobilità che le amministrazioni devono esperire ai sensi dei dettami dell'art. 30 del d. lgs 30 marzo 2001, n. 165. In queste ipotesi comunque il personale trasferito non può se non per inderogabile esigenza di servizio, essere destinato ad altra sede di servizio non prima che siano trascorsi 5 anni.[35]
L'amministrazione di destinazione che accoglie la domanda provvede alla riqualificazione dei dipendenti anche avvalendosi della scuola nazionale dell'amministrazione; in ogni caso si utilizzano le risorse disponibili e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.[36]
Riguardo al primo punto, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11868 del 9 giugno 2016 - della "sezione Lavoro" - è stato affermato che il licenziamento del personale del pubblico impiego, è disciplinato dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nella formulazione antecedente la riforma del lavoro Fornero del 2012.[37] Riguardo poi il licenziamento disciplinare, oltre le ipotesi previste dal d.lgs 27 ottobre 2009, n. 150, il decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116 del 2016 - emanato sulla base della legge delega 7 agosto 2015, n. 124 - disciplina diversi aspetti del licenziamento disciplinare e aumenta la responsbilità dei dirigenti.[38]
Riguardo al secondo punto, secondo l'articolo 33 del d.lgs 165/2001, come modificato dall'articolo 16 della legge 12 novembre 2011, n. 183. (legge di stabilità per l'anno 2012) le pubbliche amministrazioni debbono effettuare annualmente la ricognizione del personale eventualmente in esubero; laddove rilevino situazioni di soprannumero o comunque eccedenze di personale, «in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria» sono tenute ad osservare le procedure seguenti: le amministrazioni entro 90 giorni dalla comunicazione ai sindacati della situazione di esubero, devono verificare se il personale interessato possa essere reimpiegato all'interna del medesimo ente, o possa andare in mobilità (secondo le procedure di cui sopra) verso altri enti della provincia o della regione. In mancanza di ciò, essere inserito nelle liste dei lavoratori in disponibilità: cioè dei lavoratori che restano per 24 mesi al massimo inseriti nella lista, con il trattamento economico pari all'80% dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e dell'assegno per il nucleo familiare; segue la risoluzione del rapporto di lavoro. Nel caso delle amministrazioni locali, lo stato di dissesto finanziario o la violazione delle soglie di spesa per il personale, come la violazione del patto di stabilità, possono essere ragioni sufficienti per la risoluzione del rapporto di lavoro, senza possibilità di reintegro.
Sulla sorte dei rapporti di lavoro con gli enti non soppressi, ma oggetto di riduzione delle funzioni decisa per legge, va segnalata la disciplina dell’art. 1, comma 92, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Essa salvaguarda i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e i rapporti di lavoro a tempo determinato, fino alla loro scadenza, con le Province e le città metropolitane, a seguito della cospicua riduzione della loro dotazione organica (rispettivamente del 50 per cento e del 30 per cento): la legge n. 56/2014 ha in proposito definito un procedimento finalizzato a favorire la mobilità del personale in soprannumero verso Regioni, Comuni e altre pubbliche amministrazioni. L’intervento del legislatore statale è stato giudicato dalla Corte costituzionale "in linea con il riordino delle Province e delle Città metropolitane, disegnato dalla norma del 2014, che secondo la sentenza della corte costituzionale 14 luglio 2016 n. 176/2016 è in linea con l’architettura costituzionale ed è parte integrante di un assetto più ampio (art. 1, commi da 421 a 427, della legge n. 190 del 2014).[39] Nella stessa circostanza, con la sentenza n. 176/2016 del 4 maggio 2016 la Corte costituzionale[40] ha dichiarato che "nella riallocazione delle funzioni non fondamentali, connessa alla riduzione della dotazione organica, (...) alle Regioni non è precluso, a conclusione del processo di ridistribuzione del personale, affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle province e agli altri enti locali tramite apposite deleghe e convenzioni, disponendo contestualmente l’assegnazione del relativo personale.[41]
La pubblica amministrazione italiana (in acronimo PA), nell'Indice
[nascondi]Storia[modifica | modifica wikitesto]
Al momento dell'unità d'Italia, con l'adozione dello statuto albertino, la titolarità della funzione organizzatrice spettava alla stessa organizzazione che vi provvedeva mediante atti di autonormazione. A parte il caso limite dell'organizzazione militare, che dava luogo a rapporti di supremazia speciale, la funzione organizzatrice era di competenza del governo.Con la nascita della Repubblica Italiana e l'entrata in vigore della Costituzione, gli articoli 97 e 98 della Carta accolsero la soluzione opposta, attribuendo la titolarità della funzione organizzatrice al Parlamento della Repubblica Italiana, che la esercita attraverso atti di eteronormazione, sancendo così l'assoluta preminenza del principio di legalità.
Dal punto di vista dell'organizzazione degli organi amministrativi dello Stato, la Costituzione sancì il passaggio da un'organizzazione di tipo centralizzato, dove le funzioni amministrative erano attribuite agli organi centrali dello Stato, ad un'organizzazione di tipo decentrato, dove le funzioni amministrative vengono ad essere svolte da enti territoriali a livello locale; in quest'ottica assumono grande importanza gli artt. 5, 114 e 118 della carta costituzionale, cui ulteriori disposizioni diedero concreta attuazione come la legge 16 maggio 1970, n. 281, e la legge 22 luglio 1975, n. 382.
Un nuovo processo di riforme ha interessato pubblica amministrazione a partire dagli anni novanta del XX secolo, che ha visto essenzialmente la contrattualizzazione del pubblico impiego in Italia, che ha portato alla privatizzazione del diritto del lavoro pubblico nel paese - che introdusse la possibilità per i dipendenti di iscriversi a sindacati - ed il decentramento di molte funzioni dallo Stato agli enti locali, e riformando tutta l'attività sulla base di diversi criteri; ad esempio in tal senso furono emanate le leggi Bassanini.
Organizzazione[modifica | modifica wikitesto]
Principi[modifica | modifica wikitesto]
La pubblica amministrazione italiana è quindi informata secondo il principio del più ampio decentramento amministrativo, alternativo ed opposto al principio dell'accentramento amministrativo:« La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. » |
(art. 5 della Costituzione italiana) |
« Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà » |
(art. 118 della Costituzione italiana) |
Caratteri generali[modifica | modifica wikitesto]
La pubblica amministrazione dipende dal governo della Repubblica Italiana, che ne orienta gli indirizzi generali attraverso i ministeri, ai quali fanno capo branche dell'intero apparato divise per materie. Come le aziende private che producono servizi, anche la pubblica amministrazione dispone di risorse economiche, patrimoniali e umane. Le amministrazioni, articolate quindi a livello centrale e periferico, sovrintendono alle funzioni e ai servizi che lo Stato, eventualmente insieme ai vari enti pubblici, ha l'obbligo di garantire e rendere alla collettività (non solo dei cittadini, ma di tutti gli individui che per qualche motivo si trovino sul territorio statale) secondo i criteri e i princìpi previsti dalla legge.La Costituzione, attribuendo al parlamento della Repubblica Italiana la funzione organizzatrice, ha anche stabilito il principio dell'assunzione di personale nella P.A. mediante concorso pubblico, ciò al fine garantire la meritocrazia e il passaggio fra le cariche da un rapporto fiduciario a un rapporto impersonale, caratteristico di un moderno stato di diritto.
Gli enti[modifica | modifica wikitesto]
Ai sensi del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 si intendono per amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato (cioè delle amministrazioni facenti parte dell'organizzazione statale) i ministeri della Repubblica Italiana e le loro articolazioni territoriali (come motorizzazione civile, direzioni territoriali del lavoro, ufficio scolastico regionale e così via), gli istituti e scuole italiane di ogni ordine e grado, le istituzioni universitarie (università, scuole superiori universitarie) le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (aziende autonome), le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, gli enti pubblici di ricerca, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali (ACI), regionali e locali (le Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale), le amministrazioni, le aziende sanitarie locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.[1] (ovvero Agenzia delle dogane e dei monopoli, Agenzia del demanio e Agenzia delle Entrate).Non ne fanno parte infine gli enti pubblici economici (es. aziende municipalizzate) ed il CONI, ai sensi del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15 che lo ha riformato, trasformandolo in ente pubblico non economico. Sussistono poi particolari eccezioni, dovute alla natura e all'attività pubblica di taluni enti, come ad esempio l'Unione Italiana Tiro a Segno.
Incidenza sul bilancio pubblico[modifica | modifica wikitesto]
Ai fini della classificazione di contabilità pubblica, le pubbliche amministrazioni sono censite dall'ISTAT secondo criteri di natura statistico-economica aderenti al sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec95), il sistema europeo dei conti. L'istat predispone l'elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle amministrazioni pubbliche (Settore S13), i cui conti concorrono alla costruzione del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche.[2] L'ISTAT, ai sensi dell'art. 1 comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n.196 è tenuta periodicamente a pubblicare tali dati.Dati statistici[modifica | modifica wikitesto]
Il Sistema Conoscitivo del personale dipendente dalle Amministrazioni pubbliche (SICO) è il sistema informativo utilizzato dall'IGOP per rilevare i dati statistici del pubblico impiego italiano che, a decorrere dall'anno 2002, ha sostituito il vecchio modello organizzativo di alimentazione della Banca dati del personale, che era in precedenza basato sull'invio dei dati attraverso supporto cartaceo da parte delle amministrazioni.[3]Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]
In dottrina e in giurisprudenza si discute delle caratteristiche peculiari, che contraddistinguano una pubblica amministrazione da altri organismi privi dell'attributo della pubblicità.L'amministrazione pubblica si differenzia dall'impresa per l'assenza di scopo di lucro. Dal punto di vista contabile, una P.A. non dichiara né un utile né profitti, ed inoltre non è soggetta all'istituto del fallimento; è però generalmente tenuta a redigere e tenere un proprio bilancio d'esercizio ed è tuttavia passibile eventualmente di liquidazione amministrativa. La pubblica amministrazione è dotata di personalità giuridica, ma è esclusa dalle forme di questa tipiche delle imprese private, previste nel diritto societario.
Il ruolo e l'attività[modifica | modifica wikitesto]
Storicamente, molti settori dei servizi sono sempre stati gestiti dalla P.A., basti pensare all'erogazione di energia elettrica (legge 6 dicembre 1962, n. 1643), il servizio telefonico (affidato sino agli anni '90 in concessione esclusiva alla SIP) o alla gestione del trasporto ferroviario pubblico (Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato).Nel corso del tempo - soprattutto a partire dagli anni novanta del XX secolo - a causa di vari fattori e soprattutto sotto la spinta normativa dell'Unione europea, si sono prodotte varie riforme legislative che hanno introdotto la privatizzazione di diverse attività, lasciando però alla diretta gestione della pubblica amministrazione taluni settori di importanza strategica (alcuni dei quali in concorrenza con gli operatori privati): la difesa, l'ordine pubblico interno, la giustizia, la sanità, l'istruzione scolastica ecc..
L'attività della P.A., sulla base del dettato costituzionale, si svolge all'insegna dei criteri di "buon andamento" e "imparzialità";[4] può essere un'attività tipicamente autoritativa, unilaterale e burocratica, oppure di matrice consensuale. Essa è organizzata e informata sulla base dei seguenti principi e criteri:
- efficienza, cioè esercitare le proprie funzioni in modo da ottenere risultati col minor dispendio di risorse economiche possibile;
- efficacia, intesa come la capacità di produrre l'effetto voluto;
- economicità, intesa come il minor costo possibile sostenuto nel rapporto tra i mezzi economici impiegati e le risorse umane e materiali da acquisire per il soddisfacimento dell'interesse pubblico.
La responsabilità giuridica[modifica | modifica wikitesto]
Sebbene l'art. 28 della Costituzione instauri un certo parallelismo fra l'agente e la pubblica amministrazione per quel che riguarda la responsabilità verso terzi dell'illecito, la legislazione ordinaria, apparentemente, in contrasto con lo stesso articolo, crea invece un dislivello ispirandosi all'art. 97 sul buon funzionamento, rendendo l'agente responsabile solo nei casi in cui ricorra dolo o colpa grave.[senza fonte]La responsabilità della PA è solo una responsabilità civile, e non penale, in quanto essa non può agire contra legem. La pubblica amministrazione è responsabile, invece, in modo solidale con il soggetto agente esclusivamente quando ricorra colpa lieve. L'unico caso in cui l'agente possa essere responsabile esclusivo, sia civilmente che penalmente, ricorre quando il suo agire esuli completamente dai fini perseguiti dalla P.A. interessata.
Personale[modifica | modifica wikitesto]
La classificazione dei lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione italiana era tradizionalmente ripartita nel sistema delle carriere, ai sensi del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e successivamente delle qualifiche ex legge 11 luglio 1980, n. 312. In rapporto di lavoro, originariamente regolato da norme di diritto pubblico, dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego in Italia, è invece oggi disciplinato dal diritto privato con l'applicazione dello statuto dei lavoratori anche ai dipendenti pubblici italiani.[6] Il rapporto di lavoro è quindi regolato, oltre che dalla contrattazione collettiva, e anche da diverse leggi; riguardo alla prima fonte si distingue tra una contrattazione di tipo normativo - la cui stipulazione avviene tra l'ARAN e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale - ed una di tipo decentrato, concertata tra le organizzazioni sindacali costituite presso l'amministrazione, che contiene essenzialmente diverse disposizioni in tema di retribuzioni e di indennità per le responsabilità ricoperte.L'attività del personale impiegato presso le pubbliche amministrazioni italiane, è soggetta ad un sistema di valutazione - introdotto dal d.lgs 27 ottobre 2009, n. 150 - mediante un meccanismo denominato ciclo di valutazione della performance - con rilevanza di tale valutazioni sulla carriera,[7] con esclusioni in taluni casi, riguardanti le amministrazioni che abbiano determinata consistenza dell'organico del personale.[8]
Reclutamento e requisiti[modifica | modifica wikitesto]
La costituzione della Repubblica Italiana stabilisce il principio dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico,[9] per legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, salvo in alcune ipotesi di assunzione diretta tassativamente indicati da norme speciali. Le modalità di svolgimento dei concorsi e dell'accesso all'impiego sono rispettivamente disciplinati dal D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 , dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 e dal d.lgs 30 marzo 2001, n. 165.I concorsi pubblici per le assunzioni nelle amministrazioni dello Stato e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale.[10] In particolare, l'accesso alla P.A. italiana avviene:[11]
- per concorso pubblico aperto a tutti per esami, per titoli, per titoli ed esami, per corso-concorso o per selezione mediante lo svolgimento di prove volte all'accertamento della professionalità richiesta dal profilo professionale di qualifica o categoria, avvalendosi anche di sistemi automatizzati.
- mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento tenute dagli uffici circoscrizionali del lavoro che siano in possesso del titolo di studio richiesto dalla normativa vigente al momento della pubblicazione dell'offerta di lavoro.
- mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposite liste costituite dagli appartenenti alle categorie protette di cui al titolo 1 della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modifiche ed integrazioni. È fatto salvo quanto previsto dalla legge 13 agosto 1980, n. 466.
Non sono inoltre previste limitazioni per gli obiettori di coscienza ammessi a prestare il servizio civile obbligatorio, salvo che per qualsivoglia impiego che comporti l'utilizzo di armi e per l'arruolamento nelle forze armate italiane e nelle forze di polizia italiane a ordinamento militare e/o civile,[17] tranne che nel caso essi abbiano rinunciato allo status di obiettore.[18] Il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ("Codice dell'ordinamento militare") ha previsto una riserva obbligatoria dei posti messi a concorso, pari al 30%, per l'assunzione agli impieghi civili nelle pubbliche amministrazioni di personale a favore degli appartenenti alla categoria dei militari di truppa delle forze armate italiane al termine della ferma o rafferma, congedati senza demerito, fermi restando i diritti dei soggetti aventi titolo all'assunzione obbligatoria ai sensi del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509 e della legge 12 marzo 1999, n. 68.[19] La riserva, come precisato dal parere del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 11 aprile 2012, non si applica relativamente all'assunzione di personale dirigente.[20]
Circa le limitazioni, il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 dispone l'esclusione di taluni soggetti in particolari situazioni:
« Non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall'elettorato politico attivo, nonché coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell'articolo 127, primo comma, lettera d), del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato,approvato con DPR 10 gennaio 1957, n. 3.[21] » |
Il rapporto di lavoro[modifica | modifica wikitesto]
Dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego italiano e della privatizzazione del diritto del lavoro pubblico in Italia, come peraltro ulteriormente ribadito dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, è regolato da norme di diritto privato che ha nei CCNL di comparto (stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e l'ARAN), una particolare disciplina; destinatari di altre specifiche e tipiche norme sono alcune figure; ad esempio per quanto riguarda le forze di polizia italiane il personale della polizia locale (polizia municipale, polizia provinciale) della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato è a oggi contrattualizzato, insieme a quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, salvo particolari disposizioni. Costituiscono poi eccezione gli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento militare come l'Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza, il Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera e tutte le forze armate italiane, che insieme ad altre particolari categorie come la magistratura italiana e ai professori universitari conservano una disciplina del rapporto di lavoro e dello status, nonostante la privatizzazione del diritto del lavoro pubblico in Italia per la maggior parte ancora in regime di diritto pubblico.Ai sensi dell'art. 7 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 - convertito in legge 11 agosto 2014, n. 111 - i distacchi sindacali di cui beneficiano i dipendenti a seguito del processo di "privatizzazione" del rapporto di lavoro sono stati ridotti del 50%. Per le forze di polizia ad ordinamento civile ed il corpo nazionale dei vigili del fuoco si prevede invece che alle riunioni sindacali passa partecipare un solo rappresentante delle organizzazioni sindacali interessate, come peraltro precisato dalla circolare del Ministero per la funzione pubblica n. 5/2014.[22]
Lo stato giuridico[modifica | modifica wikitesto]
Lo stato giuridico degli impiegati civili è regolato dal D.P.R 10 gennaio 1957, n. 3, mentre norme particolari sono però stabilite per determinate categorie di soggetti, come per gli appartenenti alle forze di polizia italiane e forze armate italiane. Ad ogni modo vi è tuttavia da osservare che i dipendenti pubblici italiani non sono sempre pubblici ufficiali: ciò infatti dipende dai compiti che stiano svolgendo durante il servizio. Il personale è generalmente vincolato da una "clausola di esclusività", che consiste nel divieto di intrattenere rapporti di lavoro a qualsiasi titolo con altri datori di lavoro, l'esercizio di attività imprenditoriali e in generale della libera professione; in tale ultimo caso la normativa però ammette diverse eccezioni, stabilite però dalle leggi.I dipendenti sono anche destinatari di particolare disciplina riguardo al comportamento durante il servizio: la regolamentazione è contenuta nel D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62[23] che ha sostituito il precedente decreto del Ministro per la funzione pubblica datato 28 novembre 2000. Dal 2009 sono state introdotte nuove ipotesi di licenziamento disciplinare.[24] Inoltre, in base all'art. art. 1 comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 prevede particolari protezioni (inclusa la non licenziabilità) a favore del personale che abbia segnalato condotte illecite da parte di colleghi o superiori, alla magistratura italiana, inclusa la Corte dei Conti. In tema di incompatibilità e di inconferibilita di incarichi, inclusi quelli dirigenziali, è intervenuto il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, che prevede particolari disposizioni in materia. Il personale delle amministrazioni pubbliche qualora svolga attività a contatto con il pubblico sono inoltre tenuti a rendere conoscibile il proprio nominativo mediante l'uso di cartellini identificativi o di targhe da apporre presso la postazione di lavoro, tranne che nelle ipotesi previste dalla legge.[25]
I dipendenti pubblici italiani possono infine chiedere il rilascio (anche per i familiari) di particolare documenti, le tessere AT e BT (le prime di colore verde, le seconde colore azzurro) che fungono da documento di riconoscimento in Italia; per gli appartenenti alle forze armate italiane è invece previsto il rilascio della Carta multiservizi della Difesa.
Mobilità[modifica | modifica wikitesto]
I dipendenti delle pubbliche amministrazioni italiane per contro sono soggetti a una normativa che consente diverse possibilità di mobilità, che può essere intracompartimentale (tra amministrazioni dello stesso comparto, ad esempio da Comune a Comune) o intercompartimentale (tra comparti diversi, per esempio da Comune ad Agenzia delle Entrate). Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, ha stabilito inoltre che, al fine di agevolare i processi di mobilità, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica - istituisca un apposito portale web.[26] Lo stesso decreto preveva che al fine di agevolare i processi di mobilità intercompartimentale venisse emanato un decreto statuente tabelle di equiparazione per il personale di categorie e comparti diversi; a tale disposizione è stata data attuazione con l'emanazione del D.P.C.M. del 26 giugno 2015.[27]Anzitutto le pubbliche amministrazioni, prima di indire nuove procedure concorsuali per il reclutamento di personale per la copertura di posti vacanti in organico, devono attuare le procedure di mobilità secondo l'art. 1, comma 1 del d. lgs 30 marzo 2001, n. 165.[28] Si deve poi ricordare che che la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per l'anno 2006)[29] all'art. 1, comma 230 stabilì un limite minimo di permanenza, da parte dei vincitori di concorso, in prima assegnazione presso l'amministrazione presso la quale essi prestino servizio:
« I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi. » |
Riguardo alla mobilità vera e propria, essa può essere classificata secondo le seguenti tipologie:
- compensativa
- obbligatoria
- volontaria
« È consentita in ogni momento [...] la mobilità dei singoli dipendenti presso la stessa od altre amministrazioni, anche di diverso comparto, nei casi di domanda congiunta di compensazione con altri dipendenti di corrispondente profilo professionale, previo nulla osta dell'amministrazione di provenienza e di quella di destinazione. » |
In base alla seconda, disciplinata dal d. lgs 30 marzo 2001, n. 165 ma introdotta dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, si prevede che i dipendenti pubblici possano essere trasferiti, nell'ambito della stessa amministrazione o tra amministrazioni diverse previo accordo tra le stesse, ad altro ufficio entro un raggio di 50 km poiché esse costituiscono medesima unità produttiva ai sensi dell'art. 2103 del codice civile italiano:
« ... le sedi delle amministrazioni pubbliche ... collocate nel territorio dello stesso comune costituiscono mesima unità produttiva ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile. Parimenti costituiscono medesima unità produttiva le sedi collocate a una distanza non superiore ai cinquanta chilometri dalla sede in cui il dipendente è adibito. I dipendenti possono prestare attività lavorativa nella stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra, nell'ambito dell'unità produttiva come definita nel presente comma. Con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa, ove necessario, in sede di conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n. 281, possono essere fissati criteri per realizzare i processi di cui al presente comma, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico.[32] » |
« Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti ... appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. In via sperimentale e fino all'introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni standard di personale delle amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza. ...[33] » |
L'amministrazione di destinazione che accoglie la domanda provvede alla riqualificazione dei dipendenti anche avvalendosi della scuola nazionale dell'amministrazione; in ogni caso si utilizzano le risorse disponibili e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.[36]
Licenziamento[modifica | modifica wikitesto]
Riguardo alla disciplina dei licenziamenti, dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego in Italia, valgono le stesse regole del settore privato ma con alcune differenze, riguardo all'esercizio del potere disciplinare e delle motivazioni economiche.Riguardo al primo punto, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11868 del 9 giugno 2016 - della "sezione Lavoro" - è stato affermato che il licenziamento del personale del pubblico impiego, è disciplinato dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nella formulazione antecedente la riforma del lavoro Fornero del 2012.[37] Riguardo poi il licenziamento disciplinare, oltre le ipotesi previste dal d.lgs 27 ottobre 2009, n. 150, il decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116 del 2016 - emanato sulla base della legge delega 7 agosto 2015, n. 124 - disciplina diversi aspetti del licenziamento disciplinare e aumenta la responsbilità dei dirigenti.[38]
Riguardo al secondo punto, secondo l'articolo 33 del d.lgs 165/2001, come modificato dall'articolo 16 della legge 12 novembre 2011, n. 183. (legge di stabilità per l'anno 2012) le pubbliche amministrazioni debbono effettuare annualmente la ricognizione del personale eventualmente in esubero; laddove rilevino situazioni di soprannumero o comunque eccedenze di personale, «in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria» sono tenute ad osservare le procedure seguenti: le amministrazioni entro 90 giorni dalla comunicazione ai sindacati della situazione di esubero, devono verificare se il personale interessato possa essere reimpiegato all'interna del medesimo ente, o possa andare in mobilità (secondo le procedure di cui sopra) verso altri enti della provincia o della regione. In mancanza di ciò, essere inserito nelle liste dei lavoratori in disponibilità: cioè dei lavoratori che restano per 24 mesi al massimo inseriti nella lista, con il trattamento economico pari all'80% dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e dell'assegno per il nucleo familiare; segue la risoluzione del rapporto di lavoro. Nel caso delle amministrazioni locali, lo stato di dissesto finanziario o la violazione delle soglie di spesa per il personale, come la violazione del patto di stabilità, possono essere ragioni sufficienti per la risoluzione del rapporto di lavoro, senza possibilità di reintegro.
Sulla sorte dei rapporti di lavoro con gli enti non soppressi, ma oggetto di riduzione delle funzioni decisa per legge, va segnalata la disciplina dell’art. 1, comma 92, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Essa salvaguarda i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e i rapporti di lavoro a tempo determinato, fino alla loro scadenza, con le Province e le città metropolitane, a seguito della cospicua riduzione della loro dotazione organica (rispettivamente del 50 per cento e del 30 per cento): la legge n. 56/2014 ha in proposito definito un procedimento finalizzato a favorire la mobilità del personale in soprannumero verso Regioni, Comuni e altre pubbliche amministrazioni. L’intervento del legislatore statale è stato giudicato dalla Corte costituzionale "in linea con il riordino delle Province e delle Città metropolitane, disegnato dalla norma del 2014, che secondo la sentenza della corte costituzionale 14 luglio 2016 n. 176/2016 è in linea con l’architettura costituzionale ed è parte integrante di un assetto più ampio (art. 1, commi da 421 a 427, della legge n. 190 del 2014).[39] Nella stessa circostanza, con la sentenza n. 176/2016 del 4 maggio 2016 la Corte costituzionale[40] ha dichiarato che "nella riallocazione delle funzioni non fondamentali, connessa alla riduzione della dotazione organica, (...) alle Regioni non è precluso, a conclusione del processo di ridistribuzione del personale, affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle province e agli altri enti locali tramite apposite deleghe e convenzioni, disponendo contestualmente l’assegnazione del relativo personale.[41]
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