Storia di Reggio nell'Emilia
Reggio nell'Emilia sono testimoniati dai cimeli raccolti nel Civico Museo di paletnologia. Essi attestano che il territorio reggiano era abitato sin dall'età preistorica, ma le origini della città sono avvolte nella leggenda. Ai Liguri, agli Etruschi, ai Galli Boi, se ne attribuisce variamente la fondazione; altri, sull'autorità di Plinio, affermano che soggiogati questi ultimi dai Romani (560 di Roma) fosse dedotta da Roma a Reggio una colonia.
Reggio nasce quindi come presidio e difesa della via Emilia. È da considerare che in quell'epoca tutta la Pianura Padana era ricoperta da boschi selvaggi alternati da paludi malsane e corsi d'acqua minacciosi. Capitava frequentemente che i pochi avventurosi che si addentravano in questo ambiente inospitale e disabitato (per lo più mercanti), venissero assaliti all'improvviso dai Liguri che abitavano le montagne o dai Celti. Per evitare continue imboscate quindi si decise di creare un presidio stabile e sicuro, ove potessero pernottare militari e civili: così dunque nacque Reggio. Questa tesi è inoltre supportata dagli scavi fatti in città che hanno datato il primo livello della città in epoca repubblicana. Prima di questo strato non vi era nulla. Non è possibile tuttavia dare una datazione precisa riguardo alla sua fondazione, tuttavia è assai probabile che essa sia avvenuta appena dopo quella delle colonie di Parma e Mutina (183 a.C.).
Scarse nella storia di Roma le notizie di Reggio Emilia. Tra gli scrittori che la citano, Festo e Cicerone la ricordano come una delle stazioni militari lungo la via Emilia. Si possono tuttavia individuare i confini della Regium: il decumano era la via Emilia, che ancora oggi attraversa obliquamente l'abitato in direzione ovest-est, il cardo invece dalle vie Roma, Calderini e San Carlo. La città romana divenne fiorente e fu elevata al grado di municipio con propri statuti, magistrati e collegi d'arte.
Verso la fine del IV secolo Reggio Emilia era così decaduta che Sant'Ambrogio l'annovera fra le città semidirute. Le invasioni barbariche ne accrebbero i danni. Alla caduta dell'Impero d'Occidente (476 d.C.) soggiacque ad Odoacre, re degli Eruli, nel 489 passò ai Goti, nel 539 agli Esarchi di Ravenna e poi (569) ad Alboino, re dei Longobardi, che la eresse a sede di un ducato.
Assoggettata dai Franchi nel 773, Carlo Magno conferì al vescovo l'autorità regale sulla città e stabilì i confini della diocesi (781). Nell'888 passò ai re d'Italia. Gravi danni ebbe a soffrire dall'invasione degli Ungari (899), che uccidono il vescovo Azzo II. Il clima di instabilità rese necessaria l'edificazione delle mura. L'imperatore Ludovico III concederà al vescovo Pietro, il 31 ottobre del 900, il permesso di erigere mura (castrum) nella parte centrale della città.
Intanto parallelamente all'autorità vescovile sorge quella dei conti. Azzo Adalberto, figlio di Sigifredo di Lucca, di stirpe longobarda, fonda intorno all'anno 940 il castello di Canossa, che ospita poco dopo (950) Adelaide vedova di Lotario I, re d'Italia, fuggita dalla prigione del Garda.
Nel 1260 Reggio fu testimone di un episodio di grande fervore religioso: un eremita perugino predicò in città seguito da una folla di 25.000 penitenti. Per qualche tempo si ebbe una diminuzione degli odi civili e si verificarono scene pubbliche di abbracci, conversioni e presenza di flagellanti. Dopo non molto però i dissidi e gli scontri ripresero come prima.
Nel 1265 si videro i guelfi prevalere sui ghibellini con l'uccisione del capo di questi ultimi, Caco da Reggio. Ciò non portò alla pace interna e proseguirono i dissidi fra vescovo e comune e la divisione civile, con la formazione dei partiti degli Inferiori e dei Superiori, questi ultimi infine vittoriosi.
Il XIII secolo vide anche la fondazione della Zecca di Reggio, con concessione imperiale del 1219.
I reggiani non si fecero sorprendere e, guidati dal podestà Doinabello, contrattaccarono sconfiggendo e inseguendo i modenesi fino a Formigine presso il ponte di Sanguineto; molti di questi furono catturati, tra cui il podestà Alberto da Lendinara. I prigionieri furono impiegati nella costruzione delle mura attorno al castello di Rubiera, in opposizione alla rocca innalzata dai nemici a Marzaglia, ad appena 3 km di distanza, sulla sponda opposta del fiume, per poi essere ricondotti a Modena con in bocca una cannuccia.
Nel 1202 i modenesi assieme agli alleati ferraresi e veronesi assediarono Rubiera, ma non riuscendo ad espugnarla chiesero la mediazione dei podestà di Parma e Cremona, che però assegnarono la vittoria a Reggio.
Il libero comune di Reggio arriva così a possedere un notevole territorio, se il confine con Parma è fissato lungo il ramo più orientale dell'Enza, presso Bibbiano e Cavriago, era la Secchia a separare il contado reggiano da quello modenese. I Reggiani però a nord si erano spinti lontano, controllavano infatti oltre a Reggiolo anche Novi, Concordia, Mirandola, San Possidonio, Quarantoli e San Martino Spino.
L'espansione del Comune nell'Appennino reggiano iniziò nella seconda metà del XII secolo e terminò circa un secolo dopo. Tra i primi villaggi a sottomettersi al Comune vi furono Baiso e Castellarano, nel 1169. Più tardi, in un periodo compreso tra il 1188 ed il 1237 giurarono anche, tra le altre, Castelnovo ne' Monti, Felina, Carpineti, Cerreto Alpi, Cervarezza e i borghi della Val d'Asta. Non furono queste vere e proprie conquiste militari, ma sottomissioni volontarie poiché era interesse dei reggiani evitare di impegnarsi in lunghi assedi contro castelli ben muniti assicurarono e interesse dei nobili montanari avere dalla loro parte un potente alleato contro i feudatari vicini.
Nel maggio 1404, Ottobuono riconquistò e riportò Reggio sotto le insegne di Giovanni Maria Visconti, al quale era stata tolta dagli Estensi. Il 24 di giugno 1404, il duca di Milano, quale premio per i preziosi servigi e i successi sul campo delle armi, ma soprattutto a fronte d’un credito di 50.000 fiorini che il suo capitano poteva pretendere per le condotte arretrate, contrattualmente pattuite, concesse in proprietà a Terzi la città di Reggio con il suo castello. Lo storico Pezzana precisa: «Poiché a' 25 di quest' esso mese il Duca gli concesse in premio de' suoi servigi la città ed il castello di Reggio [...] perciocché Otto incominciò tosto ad assumere il titolo di Signore di Reggio. Pose Ottobuono nella città le insegne Viscontee, e fece riscuotere alcuni dazj in nome del Duca nel modo stesso che soleasi da' suoi ministri, e per rimovere ogni sospetto delle due squadre Sanvitale e Pallavicina a queste si collegò il dì 9 sotto colore di opporsi ai nemici del Duca».[4]
Nel 1406 il duca Giovanni Maria Visconti, con proprio diploma sigillato a Milano il 2 ottobre, sempre per compensare il suo debito che aveva raggiunto l’enorme cifra di 78.000 fiorini, infeudava Ottobuono, già fatto signore di Parma, quale conte di Reggio, «con tutte le rendite e i diritti ad essa connessi, colla giurisdizione del mero e misto impero, e con tutta in somma l’autorità di Sovrano, e ciò finattanto che il Duca sia in istato di soddisfare al debito con lui contratto».[5] Una settimana dopo, il 9 ottobre, Ottobuono scrisse ai reggitori di Reggio per darne notizia formale, ordinando fosse dipinto sul palazzo pubblico il suo stemma con inquartata la vipera viscontea.[6]
Radicata e consolidata la sua signoria su Reggio, Parma e Piacenza, conquistato il marchesato di Borgo San Donnino, l'antica Fidenza, Ottobuono riuscì a conservare il suo dominio fino alla primavera 1409, quando il crescente numero dei suoi nemici, stretti alleati degli Estensi, riuscirono infine ad annientarlo, politicamente e fisicamente.
Il 27 maggio di quell'anno Ottobuono finì ucciso a tradimento da Muzio Attendolo Sforza, con la complicità di Niccolò III d'Este, in un agguato che lo sorprese a Rubiera.[7] Il figlio di appena tre anni Niccolò Carlo, presente all’assassinio del padre, fu portato in salvo dentro le mura di Parma dallo zio Giacomo e dal nonno, il reggiano Carlo da Fogliano. Il giorno seguente, convocata l’assemblea dei cittadini nel palazzo del vescovado, il bimbo Niccolò Carlo, innalzato sulle braccia di Giacomo Terzi, fu proclamato dall’arengo, quale erede di Ottobono, signore di Parma e di Reggio. Una signoria effimera che durò solo tre settimane.
Nel corso del giugno Niccolò III d'Este, marchese di Ferrara, con il suo esercito s’impadronì delle terre di Parma e Reggio riuscendo a conservarle sino ai tempi successivi all'uccisione, nel 1412, di Giovanni Maria Visconti e alla successione al potere nel Ducato di Milano del fratello di questi, Filippo Maria.
Il 29 settembre dello stesso anno con la morte di Adriano VI la città ritornò agli Este con Alfonso I, che fu accolto da gloriosi festeggiamenti. Il nuovo duca dovette comunque pagare una grossa somma al papa per avere dall'imperatore Carlo V la conferma della sua investitura, che ebbe luogo nel 1531.
Ad Alfonso (morto nel 1534) seguì Ercole II, figlio di Lucrezia Borgia che nel 1551 fortificò le mura della città distruggendo i sobborghi nel raggio di un miglio intorno (la cosiddetta Tagliata).
Ad Ercole II succedette Alfonso II, al quale morendo senza successori, succedette il cugino Cesare che, per la sua condizione di figlio naturale, perdette il Ducato di Ferrara, che divenne parte dei domini pontifici (1598). La capitale fu pertanto spostata da Ferrara a Modena. In questi anni Reggio ebbe un'importante fioritura artistica legata al cantiere della basilica della Ghiara.
Il duca Cesare regnò per trent'anni. Morì nel 1628 e il diretto successore Alfonso III rinunciò al trono perché divenne frate francescano. Il ducato passò quindi a Francesco I, che dovette fronteggiare passaggi di truppe e tentativi di annessioni da parte di eserciti stranieri e anche l'epidemia di peste, che a Reggio fece circa 6000 vittime.
Il successore Alfonso IV morì a ventotto anni nel 1662. Fece in tempo però a ricevere dalla Spagna, nel 1659, il principato di Correggio, che era stato oggetto di contese negli anni precedenti.
La signoria Estense continuò senza interruzioni fino all'anno 1702, quando la città e il territorio furono occupati dai Francesi e Spagnoli e più tardi (1733-34) anche dagli imperiali per la guerra di successione.
Il trattato di Aquisgrana (1748) restituì il ducato a Francesco III al quale seguì (1780) Ercole III, ultimo del ramo diretto degli Estensi. Il duca Ercole seguì la politica dell'assolutismo illuminato, promuovendo opere pubbliche e limitando l'influenza del clero. Con lo scoppio della Rivoluzione francese e le conseguenti invasioni degli eserciti napoleonici fuggì dal ducato lasciando una reggenza (8 maggio 1796) e negoziando con Napoleone Bonaparte un pesante armistizio.
Lo stesso Bonaparte si felicitò coi reggiani e li premiò con 500 fucili, 4 cannoni ma sui primi di ottobre, rotto l'armistizio, occupava il ducato incitando i popoli dell'Emilia ad unirsi in una sola repubblica. Nel congresso tenuto a Reggio (27 dicembre 1796-9 gennaio 1797), di cui Napoleone era l'organizzatore non ufficiale, i delegati delle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio proclamarono (30 dicembre) la repubblica cispadana "una e indivisibile" e decretavano (7 gennaio 1797) l'aspetto dello stendardo o bandiera cispadana, il primo tricolore verde, bianco, rosso (con i colori disposti a bande orizzontali). Contemporaneamente in Lombardia si formò la Repubblica Cisalpina, fuse poi entrambe nella effimera Repubblica Italiana. Il territorio reggiano venne a costituire il Dipartimento del Crostolo.
Napoleone ebbe modo di vanificare le speranze repubblicane quando, cinta la corona imperiale di Francia (1804), si proclamò a Milano re d'Italia. Si ricorda che nel governo del primo regno italico ebbero importanza i reggiani Paradisi, Lamberti, Veneri, Venturi.
Pare che il duca per un certo periodo accarezzasse l'idea di divenire re d'Italia per cui prese contatti col patriota Ciro Menotti. Scoppiata però a Modena l'insurrezione (3 febbraio 1831), lo fece arrestare e, costretto a fuggire, lo portò con sé in ostaggio a Mantova. A fronteggiare gli eventi i reggiani organizzarono un corpo di truppe al comando del generale Carlo Zucchi, ma il 9 marzo il duca rientrava scortato da soldati austriaci, e poco dopo, sugli spalti della cittadella di Modena, Ciro Menotti e Vincenzo Borelli di Reggio salivano il patibolo (23 maggio 1831).
Francesco V, succeduto al padre nel 1846, fu l'ultimo duca di Reggio. Sotto il suo governo venne costruito il maggior monumento reggiano del XIX secolo, il Teatro Municipale. Spaventato dai moti di Milano e dalla rivoluzione di Vienna, abbandonava due anni dopo lo Stato riparando in Austria. Reggio istituì allora un governo provvisorio unitosi poi con quello di Modena, e proclamò l'annessione al Piemonte. La sconfitta di Novara riportò la città sotto l'Estense, ma quando nel 1859 questo fu a sua volta sconfitto, Reggio si aggregò all'Italia ed ebbe come dittatore Luigi Carlo Farini Il plebiscito del 10 marzo 1860, con 50.012 voti contro 77 (lo 0,15% di voti contrari) sanzionò l'annessione al Regno d'Italia.
Lo scoppio della prima guerra mondiale accelerò il processo di sviluppo del settore industriale sia per l'attività bellica che nella preparazione di manodopera specializzata che avrebbe contribuito in maniera decisiva allo sviluppo del settore meccanico agricolo. La fine del conflitto e l'acuirsi della scontro sociale furono vissuti drammaticamente nel reggiano dove la predominanza socialista fu confermata nelle elezioni del 1919. Ma questo predominio non fu sufficiente ad opporsi all'azione dei ceti agrari e industriali che trovarono alleati la piccola borghesia commerciale danneggiata dall'affermarsi della cooperazione di consumo per favorire l'insorgere del fascismo. In questo contesto, si segnalò il federale Marcello Bofondi per essere riuscito ad ottenere il superamento dei fortissimi contrasti interni allo stesso Partito Nazionale Fascista reggiano. Andrea Lugli, in uno studio in cui l'opera del Bofondi viene a fondo analizzata, a questo proposito parla esplicitamente di un'attività di "normalizzazione" e definisce il Bofondi una "macchina burocratico-organizzativa"[9].
Nel ventennio fascista si contano nella sola provincia di Reggio 48 assassini politici di stampo squadrista.
Il territorio reggiano diviene luogo di formazione di bande partigiane. La prima, quella dei Fratelli Cervi (figli di Alcide Cervi), pagò con l'uccisione dei sette fratelli l'aver anticipato la lotta armata che comunque dilagò, nonostante l'esecuzione di don Pasquino Borghi [1] e di altri otto patrioti. Complessivamente si contano più di 600 partigiani morti durante la resistenza. Ebbero luogo anche diverse rappresaglie di tedeschi o fascisti nei confronti della popolazione civile. Di seguito si indicano le stragi con più di 20 vittime:
L'8 gennaio 1944 Reggio Emilia fu pesantemente bombardata dagli alleati che, intorno a mezzogiorno, sganciarano a più riprese bombe sulla stazione ferroviaria, le officine Reggiane e il vicino aeroporto. Alcune bombe centrarono abitazioni civili e un rifugio ove avevano trovato riparo numerosi cittadini. I morti tra la pololazione civile furono oltre 250.
Il 25 aprile 1945 segna una svolta storica: si ricostituiscono le amministrazioni democratiche prima sotto la guida del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che aveva condotto la lotta armata, poi con le prime elezioni del 1946 con amministrazioni democraticamente elette. Reggio vede subito il predominio del PCI (Partito Comunista Italiano). Il clima del dopoguerra fu però funestato da numerosi omicidi politici da parte di comunisti nei confronti di avversari politici o di ecclesiastici.
Il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai reggiani, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, furono uccisi dalle forze dell'ordine in quella che passò alla storia come la Strage di Reggio Emilia e che fu immortalata dalla celebre canzone di Fausto Amodei, "Per i morti di Reggio Emilia".
Sul finire degli anni ‘60 Reggio è ormai una città a forte caratterizzazione industriale che tende a svilupparsi secondo una pianificazione urbana dagli esiti controversi. Viene attuato un radicale risanamento del centro storico che comporta la demolizione totale di alcune zone particolarmente povere o insane. È il caso del Borgo Emilio, delle case di via Francotetto (ove ora sorge l'Istituto Levi-Scaruffi) e di vicolo del Mondo, strade note allora ai reggiani per essere le più malfamate. Vengono distrutti i Portici della Trinità in Piazza della Vittoria e al loro posto viene innalzato l’Isolato San Rocco e infine vengono completamente riedificate le case di via Cavagni, altra zona calda della città. Fino agli anni'50 via Borgogna era nota ai reggiani per le case chiuse, col boom economico questa strada e le vicine vie Cavagni e San Martino subirono un radicale risanamento. Gli sfollati del centro vengono così sistemati nei nuovi quartieri costruiti alle porte della città come la Rosta Nuova, la Canalina, il Villaggio Stranieri, il Villaggio Foscato e il Villaggio Catellani.
Negli anni Settanta Reggio vede sorgere il terrorismo legato alle Brigate Rosse. Da Reggio Emilia provenivano i terroristi Gallinari, Franceschini, Paroli, tutti iscritti alla FGCI e al PCI, poi passati alla clandestinità. Le Brigate Rosse reggiane traevano ispirazione, secondo Franceschini, dal mito della resistenza tradita e si ritenevano gli ideali continuatori della lotta partigiana.
Lo sviluppo economico porta ad una intensa emigrazione dal Sud Italia, in particolare dalla Calabria e dal paese di Cutro, con occupati prevalentemente nel settore edilizio.
Dagli anni 80 il benessere raggiunto con lo sviluppo dei principali settori produttivi porta Reggio ai primi posti nelle classifiche nazionali per livelli economici e di alcuni servizi (fra i quali spiccano gli asili comunali).
I primi insediamenti nell'area che diverrà la città di Indice
[nascondi]- 1Etimologia
- 2Età Romana
- 3Cristianesimo e alto medioevo
- 4Dopo il Mille
- 5Libero Comune
- 6L'epoca delle discordie civili
- 7L'espansione territoriale del Comune
- 8La prima dominazione estense e la nascita della Repubblica
- 9I Gonzaga e i Visconti
- 10La signoria di Ottobuono de' Terzi
- 11La seconda dominazione estense
- 12Età napoleonica
- 13La restaurazione
- 14Reggio nel regno d'Italia
- 15La prima guerra mondiale e il fascismo
- 16La seconda guerra mondiale e la resistenza
- 17Reggio nel dopoguerra
- 18Note
- 19Bibliografia
- 20Voci correlate
- 21Collegamenti esterni
Etimologia[modifica | modifica wikitesto]
La prima testimonianza del nome di Reggio è un'incisione apportata su un calice d'argento appartenuto ad un nobile lusitano vissuto attorno al 70 d.C. Quest'uomo era affetto da alcuni dolori che lo costrinsero ad effettuare un interminabile viaggio da Cadice alle rive del Lago di Bracciano. Volle che su questo calice venissero apportate tutte le tappe terrestri del viaggio, in totale 103. Ebbene tra Parma e Mutina vi è Regio.[senza fonte] Numerosi storici [senza fonte] attribuiscono l'origine del nome al latino rĕgĭo (confine, regione, territorio, paese). Il nome sarebbe poi stato mutato in Regium da cui Regium Lepidi in onore del fondatore Marco Emilio Lepido. Sull'origine del nome si è però a lungo dibattuto e in molti concordano su un'origine gallica. Nella lingua celtica Rigion o Region era quel luogo neutrale dove i capitribù s'incontravano per discutere e prendere decisioni.[senza fonte]Età Romana[modifica | modifica wikitesto]
Le prime fonti storiche scritte che parlano del territorio di Reggio Emilia sono di Tito Livio quando nel 187 a.C. ci narra della guerra condotta dai Romani contro i Liguri Friniates che abitavano l'Appennino tosco-emiliano. In questo racconto Tito Livio ci narra che il console Marco Emilio Lepido al comando delle legioni Romane inseguì, depredò, bruciò per valli e monti i Liguri fino ai monti Ballistam (Monte Valestra) e Suismontium (Pietra di Bismantova) e dopo un difficile assedio li sconfisse in battaglia in campo aperto e per questo eresse un tempio a Diana. Proseguì la lotta attraversando gli Appennini verso i territori romani (cis) e sconfisse gli altri Liguri Friniates che abitavano la Garfagnana, probabilmente passando per i passi di Pradarena o delle Forbici/Radici, visto che i passi del Cerreto/Ospedalaccio o Lagastrello danno accesso alla Lunigiana, che lo stesso Tito Livio ci dice abitata dai Liguri Apuani. Una volta sconfitti i Liguri Friniates della Garfagnana il console Marco Emilio Lepido tornò in Emilia e diede inizio alla costruzione della via che poi prenderà il nome di Via Emilia e che collegava Rimini con Piacenza su cui sorgeranno le città di Parma, Reggio Emilia e Modena. E verosimilmente il termine Lepidum Regium potrebbe stare ad indicare il territorio oggetto della vittoriosa campagna militare condotta dal console Marco Emilio Lepido. A riconferma degli interessi romani, per il controllo dell'alta valle del Secchia e dei percorsi appenninici reggiani, sono il ritrovamento in località S.Bartolomeo/Gatta di una necropoli Romana, avvenuta negli anni'70 durante l'esecuzione di lavori stradali.Reggio nasce quindi come presidio e difesa della via Emilia. È da considerare che in quell'epoca tutta la Pianura Padana era ricoperta da boschi selvaggi alternati da paludi malsane e corsi d'acqua minacciosi. Capitava frequentemente che i pochi avventurosi che si addentravano in questo ambiente inospitale e disabitato (per lo più mercanti), venissero assaliti all'improvviso dai Liguri che abitavano le montagne o dai Celti. Per evitare continue imboscate quindi si decise di creare un presidio stabile e sicuro, ove potessero pernottare militari e civili: così dunque nacque Reggio. Questa tesi è inoltre supportata dagli scavi fatti in città che hanno datato il primo livello della città in epoca repubblicana. Prima di questo strato non vi era nulla. Non è possibile tuttavia dare una datazione precisa riguardo alla sua fondazione, tuttavia è assai probabile che essa sia avvenuta appena dopo quella delle colonie di Parma e Mutina (183 a.C.).
Scarse nella storia di Roma le notizie di Reggio Emilia. Tra gli scrittori che la citano, Festo e Cicerone la ricordano come una delle stazioni militari lungo la via Emilia. Si possono tuttavia individuare i confini della Regium: il decumano era la via Emilia, che ancora oggi attraversa obliquamente l'abitato in direzione ovest-est, il cardo invece dalle vie Roma, Calderini e San Carlo. La città romana divenne fiorente e fu elevata al grado di municipio con propri statuti, magistrati e collegi d'arte.
Cristianesimo e alto medioevo[modifica | modifica wikitesto]
Il Cristianesimo vi è predicato da S. Apollinare (a. 60 d.C.), ma solo dopo l'editto di Milano del 313 si hanno notizie certe di una cattedra vescovile (vedi articolo diocesi di Reggio Emilia). Si ha notizia che nel 440 la diocesi reggiana fu resa suffraganea di Ravenna per opera dell'imperatore Valentiniano III.Verso la fine del IV secolo Reggio Emilia era così decaduta che Sant'Ambrogio l'annovera fra le città semidirute. Le invasioni barbariche ne accrebbero i danni. Alla caduta dell'Impero d'Occidente (476 d.C.) soggiacque ad Odoacre, re degli Eruli, nel 489 passò ai Goti, nel 539 agli Esarchi di Ravenna e poi (569) ad Alboino, re dei Longobardi, che la eresse a sede di un ducato.
Assoggettata dai Franchi nel 773, Carlo Magno conferì al vescovo l'autorità regale sulla città e stabilì i confini della diocesi (781). Nell'888 passò ai re d'Italia. Gravi danni ebbe a soffrire dall'invasione degli Ungari (899), che uccidono il vescovo Azzo II. Il clima di instabilità rese necessaria l'edificazione delle mura. L'imperatore Ludovico III concederà al vescovo Pietro, il 31 ottobre del 900, il permesso di erigere mura (castrum) nella parte centrale della città.
Intanto parallelamente all'autorità vescovile sorge quella dei conti. Azzo Adalberto, figlio di Sigifredo di Lucca, di stirpe longobarda, fonda intorno all'anno 940 il castello di Canossa, che ospita poco dopo (950) Adelaide vedova di Lotario I, re d'Italia, fuggita dalla prigione del Garda.
Dopo il Mille[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1002 il contado di Reggio insieme con quello di Parma, Brescia, Modena, Mantova e Ferrara forma la marca del Marchese Tedaldo di Canossa e che poi divenne (1076) il patrimonio della contessa Matilde. Durante il governo di questa celebre donna il castello di Canossa fu testimone della storica umiliazione di Enrico IV, imperatore del Sacro Romano Impero, al cospetto di papa Gregorio VII durante il conflitto fra la Chiesa e l'Impero per la questione delle investiture (vedi Canossa).Libero Comune[modifica | modifica wikitesto]
L'umiliazione di Enrico IV fu il culmine di un processo di crisi dell'autorità imperiale in Italia a vantaggio delle libertà comunali. Il primo atto ufficiale del comune a noi giunto risale al 1136. Nel 1168 si registrano i primi contatti tra la città e la Lega Lombarda. Il giuramento contro Federico Barbarossa innanzi alle altre città lombarde si effettuerà attorno al 1170[1]. L'esercito reggiano partecipa, nel 1174, alla difesa di Alessandria. I reggiani non partecipano alla battaglia di Legnano poiché impegnati, assieme ai bolognesi e agli eserciti di altre sette città, nella difesa del castello di San Cassiano, presso Imola, assediato dalle truppe filo-imperiali di Cristiano di Magonza[2]. Nel 1183 la città sottoscrive il trattato di Costanza con cui il console reggiano Rolando della Carità riceve l'investitura imperiale. Il periodo di pace ebbe effetti positivi per la sviluppo civile: nel 1199 il governo di Reggio adotta dei nuovi statuti, si coniano monete, vengono aperte scuole chiamandovi celebri maestri, i commerci si intensificano e il nuovo clima di prosperità favorisce anche le arti.L'epoca delle discordie civili[modifica | modifica wikitesto]
I secoli XII e XIII furono tormentati da gravi conflitti interni e con i comuni vicini. La guerra con Parma (1152), le lotte tra le fazioni dei Scopazziati e dei Mazzaperlini, la guerra con Modena, la guerra con Mantova, le discordie tra i Ruggeri e i Malaguzzi (1232), poi quelle tra i Sessi e i Fogliani che assunsero il carattere di lotte fra guelfi e ghibellini, rendono instabile il quadro politico dell'epoca.Nel 1260 Reggio fu testimone di un episodio di grande fervore religioso: un eremita perugino predicò in città seguito da una folla di 25.000 penitenti. Per qualche tempo si ebbe una diminuzione degli odi civili e si verificarono scene pubbliche di abbracci, conversioni e presenza di flagellanti. Dopo non molto però i dissidi e gli scontri ripresero come prima.
Nel 1265 si videro i guelfi prevalere sui ghibellini con l'uccisione del capo di questi ultimi, Caco da Reggio. Ciò non portò alla pace interna e proseguirono i dissidi fra vescovo e comune e la divisione civile, con la formazione dei partiti degli Inferiori e dei Superiori, questi ultimi infine vittoriosi.
Il XIII secolo vide anche la fondazione della Zecca di Reggio, con concessione imperiale del 1219.
L'espansione territoriale del Comune[modifica | modifica wikitesto]
Il Comune di Reggio, al pari degli altri del nord Italia, dopo aver ottenuto una generale autonomia amministrativa, si preoccupò di espandere il proprio dominio nel territorio circostante la città. La sottomisisone del contado garantiva a Reggio di poter disporre di maggiori risorse economiche e umane per le guerre, alimentari e materiali per la popolazione urbana che in quel periodo necessitava di quantità sempre maggiori di alimenti e materie prime. Si potevano controllare inoltre le principali vie di comunicazione, sia in chiave difensiva, sia in chiave economica. L'espansione, nella pianura, fu rallentata dai lunghi conflitti con i comuni vicini, in primis Modena, seguita a ruota da Mantova, Parma e Cremona. Nell'Appennino reggiano, la penetrazione reggiana fu ostacolata invece dall'asperità del territorio e dalla resistenza delle potenti famiglie nobiliari.La guerra con Modena[modifica | modifica wikitesto]
La guerra tra il comune di Reggio ed il comune di Modena scoppiò nel 1201. Vigeva da molto tempo tra le due città un accordo per l'uso delle acque del fiume Secchia; all'epoca era vitale l'utilizzo dei corsi d'acqua, che permettevano il funzionamento di numerose attività economiche. Nel 1201 i modenesi occuparono alcune terre sulla sponda reggiana del fiume (Casalgrande), per ottenerne il completo controllo.I reggiani non si fecero sorprendere e, guidati dal podestà Doinabello, contrattaccarono sconfiggendo e inseguendo i modenesi fino a Formigine presso il ponte di Sanguineto; molti di questi furono catturati, tra cui il podestà Alberto da Lendinara. I prigionieri furono impiegati nella costruzione delle mura attorno al castello di Rubiera, in opposizione alla rocca innalzata dai nemici a Marzaglia, ad appena 3 km di distanza, sulla sponda opposta del fiume, per poi essere ricondotti a Modena con in bocca una cannuccia.
Nel 1202 i modenesi assieme agli alleati ferraresi e veronesi assediarono Rubiera, ma non riuscendo ad espugnarla chiesero la mediazione dei podestà di Parma e Cremona, che però assegnarono la vittoria a Reggio.
La guerra con Mantova[modifica | modifica wikitesto]
La guerra tra Reggio e Mantova scoppiò nel 1205 a causa della conquista da parte dei reggiani del castello di Suzzara. Un contrattacco dei mantovani, aiutati da ferraresi e cremonesi, questi ultimi controllavano Guastalla e Luzzara ed avevano recentemente stipulato un patto d'alleanza con Reggio, sbaragliò gli occupanti. Quest'alleanza era effettivamente poco logica, poiché i reggiani miravano ad uno sbocco sul Po, e i due paesi in mano cremonese erano le prede più ambite, pertanto il voltafaccia di questi ultimi non deve far tanto scalpore. Questa prima fase della guerra terminò con una vittoria di Reggio, alla quale si erano associate Bologna, Imola e Faenza. Tuttavia nel 1215 le ostilità ripresero, con l'assedio dei reggiani e dei (questa volta alleati) cremonesi a Gonzaga, assedio però non risolutivo. Nel 1220 Reggio e Cremona, aiutate dai contadini di Fabbrico e Campagnola assediarono nuovamente Gonzaga, che finalmente cadde; è di quel periodo lo scavo del Cavo Tagliata tra Guastalla e Luzzara, da parte dei reggiani e cremonesi. Quattro anni più tardi in uno scontro con i mantovani morì Jacopo della Palude, capitano dei reggiani. Nel 1225 per opera di Ravanino Bellotti, cremonese, podestà di Reggio si conclude il conflitto con un accordo: Gonzaga ai mantovani, Bondeno d'Arduino ai reggiani e comune giurisdizione su Pegognaga.Il libero comune di Reggio arriva così a possedere un notevole territorio, se il confine con Parma è fissato lungo il ramo più orientale dell'Enza, presso Bibbiano e Cavriago, era la Secchia a separare il contado reggiano da quello modenese. I Reggiani però a nord si erano spinti lontano, controllavano infatti oltre a Reggiolo anche Novi, Concordia, Mirandola, San Possidonio, Quarantoli e San Martino Spino.
L'espansione del Comune nell'Appennino reggiano iniziò nella seconda metà del XII secolo e terminò circa un secolo dopo. Tra i primi villaggi a sottomettersi al Comune vi furono Baiso e Castellarano, nel 1169. Più tardi, in un periodo compreso tra il 1188 ed il 1237 giurarono anche, tra le altre, Castelnovo ne' Monti, Felina, Carpineti, Cerreto Alpi, Cervarezza e i borghi della Val d'Asta. Non furono queste vere e proprie conquiste militari, ma sottomissioni volontarie poiché era interesse dei reggiani evitare di impegnarsi in lunghi assedi contro castelli ben muniti assicurarono e interesse dei nobili montanari avere dalla loro parte un potente alleato contro i feudatari vicini.
La prima dominazione estense e la nascita della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]
Per metter pace alla città, sottoposta agli arbitri delle potenti famiglie dei Sessi, dei Fogliani, dei Canossa, il Senato deliberò di affidare per un triennio il governo al marchese Obizzo II d'Este, signore di Ferrara. Questa scelta segna l'inizio del dominio, più volte interrotto, degli Este su Reggio e getta le basi per la futura trasformazione del libero comune in signoria. Obizzo accettò l'incarico per un anno, ma in realtà continuò a governare anche alla scadenza del mandato. La carica venne trasmessa al figlio Azzo, finché i reggiani, aiutati da Gilberto da Correggio, signore di Parma, cacciarono l'Estense ripristinando le libertà cittadine (1306). In una prima fase la città fu retta da aristocratici, in seguito divenne una repubblica governata da 800 popolani. Nel 1310 sceso in Italia Enrico VII fu imposto il marchese Spinetta Malaspina come vicario imperiale, ma venne dopo poco cacciato dalla città. La repubblica non ebbe però vita lunga. Nel 1326 il cardinale Bertrando del Poggetto occupava la città in nome del papa Giovanni XXII.I Gonzaga e i Visconti[modifica | modifica wikitesto]
La città fu in seguito tenuta dal re Giovanni I di Boemia, in seguito passò a Nicolò Fogliani, che la consegnò a Mastino della Scala che, nel 1335, ne investì Luigi Gonzaga. Questi, proclamato signore di Reggio per meglio assicurarsene il possesso, nel 1339 costruì una cittadella nel quartiere di San Nazario, dove oggi sorgono il Teatro Municipale e i Giardini Pubblici, facendo abbattere 144 case tra cui palazzi ed edifici di pregio. Il 25 gennaio 1348 Reggio fu colpita da un violento terremoto e nello stesso anno scoppiò in città, come in tutta l'Europa, una gravissima epidemia di peste. Nel 1356 i Visconti di Milano, intenzionati ad espandersi in Emilia, con l'aiuto di 2000 fuorusciti, per lo più esponenti delle famiglie dei Canossa, Da Correggio, Manfredi e Fogliani, tentarono di occupare la città. Respinti dai Gonzaga si rinchiusero nel monastero di San Prospero, uno dei più importanti dell'ordine benedettino e dotato di un'alta torre che, seppur abbassata su ordine di Feltrino, offriva un'ottima visuale sulla cittadella gonzaghesca. Il monastero fu riconquistato dai Gonzaga il 13 febbraio e Feltrino ne ordinò la demolizione totale, sebbene i cittadini facessero richiesta di risparmiarlo. Nel 1358 Feltrino Gonzaga, che temeva un'alleanza tra il nipote Ugolino e il suo grande nemico Bernabò Visconti, si proclamò signore di Reggio e fortificò le località, come Gonzaga, Reggiolo e Luzzara, poste al confine con i domini mantovani della sua famiglia. Nel 1370 i Visconti assediarono la città e depredarono le campagne circostanti. L'anno seguente però la Lega anti-viscontea, di cui Feltrino Gonzaga era il capo militare, si sciolse e così, Bernabò Visconti da Parma, e Niccolò d'Este da Modena cinsero nuovamente d'assedio Reggio. Le difese cedettero e, mentre i Gonzaga si riparavano nella munita Cittadella, tutta la città, per ben venti giorni, venne saccheggiata dalle milizie tedesche del conte Lucio Lando. Feltrino Gonzaga si accordò con Bernabò Visconti e, per 50.000 fiorini d'oro, più gli strategici feudi di Novellara e Bagnolo, posti lungo il canale che collegava la città al Po, vendette la città alla signoria di Milano che ingrandiva ulteriormente i suoi dominii nel Nord Italia.La signoria di Ottobuono de' Terzi[modifica | modifica wikitesto]
Con la morte di Gian Galeazzo Visconti, nel settembre 1402, la città subì lungamente le conseguenze delle convulse vicende politico-militari che condussero alla dissoluzione del Ducato di Milano. Pochi mesi dopo la scomparsa di Gian Galeazzo, nel luglio 1403 la vedova e duchessa madre Caterina Visconti, in qualità di Reggente, e il suo giovane erede Giovanni Maria, nominarono commissario ducale per Reggio e Parma il loro condottiero Ottobuono. Questi, conte di Tizzano e di Castelnuovo, era il massimo esponente dei Terzi di Parma, discendenti dei da Cornazzano, una casata che si stavano affermando tra le più agguerrite nel primo decennio del secolo. Aspramente proteso a dilatare il proprio potere sulla città e terre emiliane, Ottobuono s'insignorì, prima di fatto e quindi di diritto, per cinque anni, di Parma e quindi di Reggio e Piacenza dalla primavera 1404 a quella del 1409.[3]Nel maggio 1404, Ottobuono riconquistò e riportò Reggio sotto le insegne di Giovanni Maria Visconti, al quale era stata tolta dagli Estensi. Il 24 di giugno 1404, il duca di Milano, quale premio per i preziosi servigi e i successi sul campo delle armi, ma soprattutto a fronte d’un credito di 50.000 fiorini che il suo capitano poteva pretendere per le condotte arretrate, contrattualmente pattuite, concesse in proprietà a Terzi la città di Reggio con il suo castello. Lo storico Pezzana precisa: «Poiché a' 25 di quest' esso mese il Duca gli concesse in premio de' suoi servigi la città ed il castello di Reggio [...] perciocché Otto incominciò tosto ad assumere il titolo di Signore di Reggio. Pose Ottobuono nella città le insegne Viscontee, e fece riscuotere alcuni dazj in nome del Duca nel modo stesso che soleasi da' suoi ministri, e per rimovere ogni sospetto delle due squadre Sanvitale e Pallavicina a queste si collegò il dì 9 sotto colore di opporsi ai nemici del Duca».[4]
Nel 1406 il duca Giovanni Maria Visconti, con proprio diploma sigillato a Milano il 2 ottobre, sempre per compensare il suo debito che aveva raggiunto l’enorme cifra di 78.000 fiorini, infeudava Ottobuono, già fatto signore di Parma, quale conte di Reggio, «con tutte le rendite e i diritti ad essa connessi, colla giurisdizione del mero e misto impero, e con tutta in somma l’autorità di Sovrano, e ciò finattanto che il Duca sia in istato di soddisfare al debito con lui contratto».[5] Una settimana dopo, il 9 ottobre, Ottobuono scrisse ai reggitori di Reggio per darne notizia formale, ordinando fosse dipinto sul palazzo pubblico il suo stemma con inquartata la vipera viscontea.[6]
Radicata e consolidata la sua signoria su Reggio, Parma e Piacenza, conquistato il marchesato di Borgo San Donnino, l'antica Fidenza, Ottobuono riuscì a conservare il suo dominio fino alla primavera 1409, quando il crescente numero dei suoi nemici, stretti alleati degli Estensi, riuscirono infine ad annientarlo, politicamente e fisicamente.
Il 27 maggio di quell'anno Ottobuono finì ucciso a tradimento da Muzio Attendolo Sforza, con la complicità di Niccolò III d'Este, in un agguato che lo sorprese a Rubiera.[7] Il figlio di appena tre anni Niccolò Carlo, presente all’assassinio del padre, fu portato in salvo dentro le mura di Parma dallo zio Giacomo e dal nonno, il reggiano Carlo da Fogliano. Il giorno seguente, convocata l’assemblea dei cittadini nel palazzo del vescovado, il bimbo Niccolò Carlo, innalzato sulle braccia di Giacomo Terzi, fu proclamato dall’arengo, quale erede di Ottobono, signore di Parma e di Reggio. Una signoria effimera che durò solo tre settimane.
Nel corso del giugno Niccolò III d'Este, marchese di Ferrara, con il suo esercito s’impadronì delle terre di Parma e Reggio riuscendo a conservarle sino ai tempi successivi all'uccisione, nel 1412, di Giovanni Maria Visconti e alla successione al potere nel Ducato di Milano del fratello di questi, Filippo Maria.
La seconda dominazione estense[modifica | modifica wikitesto]
Nei patti con i quali Reggio consegnava la propria sovranità agli Este, la città avrebbe conservato una larga autonomia: mantiene il diritto di far leggi, battere moneta e amministrare la giustizia. A Nicolò seguì nel 1442 il figlio naturale Lionello, che governò fino al 1450. A lui successe il figlio Borso d'Este. Finalmente nel 1452 Borso d'Este ottenne dall'imperatore Ferdinando III il titolo di duca di Modena e di Reggio. Il suo successore il duca Ercole I d'Este è ricordato per i pesanti tributi cui sottopose la città, e per avere dato al poeta Matteo Maria Boiardo la carica di governatore della città con il compito di liberare le campagne dall'imperversare di banditi. Ad Ercole successe nel 1505 Alfonso I d'Este che sette anni dopo consegnava la città al duca d'Urbino e al papa Giulio II. Entrata nell'orbita pontificia, la sovranità passò prima a Leone X e poi ad Adriano VI. Durante il dominio pontificio una particolare contesa delle monache di S. Raffaele aveva inimicato le famiglie dei Bebbi e degli Scaiola e dato origine alle fazioni della Tovaglia e della Cucina (la Tvàia e la Cusèina). A comporre il dissidio e ridare quiete alla città, si era adoperato il governatore Giovanni Gozzadini, bolognese. Ma i Bebbi, da lui esiliati fuori confine e rifugiatisi a Leguigno, ordirono una congiura e lo pugnalarono nella cattedrale, mentre ascoltava la messa (28 giugno 1517). Lo Storico e giureconsulto fiorentino Francesco Guicciardini che gli successe, tentò di pacificare gli animi e di liberare le montagne dai banditi che le infestavano capitanati da Domenico Amorotto de' Bretti da Carpineti, e riuscendo nella cattura del famigerato brigante nel 1523.Il 29 settembre dello stesso anno con la morte di Adriano VI la città ritornò agli Este con Alfonso I, che fu accolto da gloriosi festeggiamenti. Il nuovo duca dovette comunque pagare una grossa somma al papa per avere dall'imperatore Carlo V la conferma della sua investitura, che ebbe luogo nel 1531.
Ad Alfonso (morto nel 1534) seguì Ercole II, figlio di Lucrezia Borgia che nel 1551 fortificò le mura della città distruggendo i sobborghi nel raggio di un miglio intorno (la cosiddetta Tagliata).
Ad Ercole II succedette Alfonso II, al quale morendo senza successori, succedette il cugino Cesare che, per la sua condizione di figlio naturale, perdette il Ducato di Ferrara, che divenne parte dei domini pontifici (1598). La capitale fu pertanto spostata da Ferrara a Modena. In questi anni Reggio ebbe un'importante fioritura artistica legata al cantiere della basilica della Ghiara.
Il duca Cesare regnò per trent'anni. Morì nel 1628 e il diretto successore Alfonso III rinunciò al trono perché divenne frate francescano. Il ducato passò quindi a Francesco I, che dovette fronteggiare passaggi di truppe e tentativi di annessioni da parte di eserciti stranieri e anche l'epidemia di peste, che a Reggio fece circa 6000 vittime.
Il successore Alfonso IV morì a ventotto anni nel 1662. Fece in tempo però a ricevere dalla Spagna, nel 1659, il principato di Correggio, che era stato oggetto di contese negli anni precedenti.
La signoria Estense continuò senza interruzioni fino all'anno 1702, quando la città e il territorio furono occupati dai Francesi e Spagnoli e più tardi (1733-34) anche dagli imperiali per la guerra di successione.
Il trattato di Aquisgrana (1748) restituì il ducato a Francesco III al quale seguì (1780) Ercole III, ultimo del ramo diretto degli Estensi. Il duca Ercole seguì la politica dell'assolutismo illuminato, promuovendo opere pubbliche e limitando l'influenza del clero. Con lo scoppio della Rivoluzione francese e le conseguenti invasioni degli eserciti napoleonici fuggì dal ducato lasciando una reggenza (8 maggio 1796) e negoziando con Napoleone Bonaparte un pesante armistizio.
Età napoleonica[modifica | modifica wikitesto]
L'arrivo a Reggio dei francesi, accolto con visibile entusiasmo, aprì gli animi a molte speranze. Nella notte dal 20 al 21 agosto 1796 è cacciato il presidio ducale di 600 uomini; il 26 i francesi piantano l'albero della libertà e nello stesso giorno il Senato avoca a sé il governo della città e del ducato di Reggio, proclamando la Repubblica Reggiana. Il 26 settembre giunge notizia che una colonna d'austriaci, varcato il Po, avanza su Reggio. Il Governo Provvisorio convoca la guardia civica e con volontari ne forma un corpo al comando del capitano Carlo Ferrarini. Gli austriaci, rinchiusisi nel castello di Montechiarugolo, sono obbligati dopo combattimento alla resa, lasciando 144 prigionieri, tre carriaggi e tutte le armi. Alla battaglia, passata alla storia come battaglia di Montechiarugolo, di per sé di scarsa importanza, venne dato un particolare significato risorgimentale perché fu considerato il primo sangue versato per l'indipendenza italiana. Ugo Foscolo chiamò Reggio "città animatrice d'Italia". Proprio durante la battaglia di Montechiarugolo si ebbe il primo morto per la causa risorgimentale, Andrea Rivasi[8].Lo stesso Bonaparte si felicitò coi reggiani e li premiò con 500 fucili, 4 cannoni ma sui primi di ottobre, rotto l'armistizio, occupava il ducato incitando i popoli dell'Emilia ad unirsi in una sola repubblica. Nel congresso tenuto a Reggio (27 dicembre 1796-9 gennaio 1797), di cui Napoleone era l'organizzatore non ufficiale, i delegati delle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio proclamarono (30 dicembre) la repubblica cispadana "una e indivisibile" e decretavano (7 gennaio 1797) l'aspetto dello stendardo o bandiera cispadana, il primo tricolore verde, bianco, rosso (con i colori disposti a bande orizzontali). Contemporaneamente in Lombardia si formò la Repubblica Cisalpina, fuse poi entrambe nella effimera Repubblica Italiana. Il territorio reggiano venne a costituire il Dipartimento del Crostolo.
Napoleone ebbe modo di vanificare le speranze repubblicane quando, cinta la corona imperiale di Francia (1804), si proclamò a Milano re d'Italia. Si ricorda che nel governo del primo regno italico ebbero importanza i reggiani Paradisi, Lamberti, Veneri, Venturi.
La restaurazione[modifica | modifica wikitesto]
Il trattato di Vienna del 1815 restituì il ducato di Reggio a Francesco IV il quale rimise in vigore l'antico codice estense e gli ordinamenti anteriori al 1797. Soppresse ancora la libertà di stampa, richiamò i gesuiti cui riaffidò l'insegnamento, e istituì a Rubiera il tribunale statario per giudicarvi i colpevoli del reato di carboneria. Di essi ne imprigionò gran numero e nove furono condannati a morte. Sette erano fuggiti in tempo e dei due detenuti solo Giuseppe Andreoli, sacerdote ventottenne, salì il patibolo (17 ottobre 1822). Al governo estense si deve la costituzione e organizzazione del manicomio di San Lazzaro, che ebbe un importante ruolo nella storia della psichiatria.Pare che il duca per un certo periodo accarezzasse l'idea di divenire re d'Italia per cui prese contatti col patriota Ciro Menotti. Scoppiata però a Modena l'insurrezione (3 febbraio 1831), lo fece arrestare e, costretto a fuggire, lo portò con sé in ostaggio a Mantova. A fronteggiare gli eventi i reggiani organizzarono un corpo di truppe al comando del generale Carlo Zucchi, ma il 9 marzo il duca rientrava scortato da soldati austriaci, e poco dopo, sugli spalti della cittadella di Modena, Ciro Menotti e Vincenzo Borelli di Reggio salivano il patibolo (23 maggio 1831).
Francesco V, succeduto al padre nel 1846, fu l'ultimo duca di Reggio. Sotto il suo governo venne costruito il maggior monumento reggiano del XIX secolo, il Teatro Municipale. Spaventato dai moti di Milano e dalla rivoluzione di Vienna, abbandonava due anni dopo lo Stato riparando in Austria. Reggio istituì allora un governo provvisorio unitosi poi con quello di Modena, e proclamò l'annessione al Piemonte. La sconfitta di Novara riportò la città sotto l'Estense, ma quando nel 1859 questo fu a sua volta sconfitto, Reggio si aggregò all'Italia ed ebbe come dittatore Luigi Carlo Farini Il plebiscito del 10 marzo 1860, con 50.012 voti contro 77 (lo 0,15% di voti contrari) sanzionò l'annessione al Regno d'Italia.
Reggio nel regno d'Italia[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1901 nasceva la Camera del Lavoro che aggregava 202 organizzazioni economiche con quasi 30.000 iscritti. La conquista del Comune di Reggio nelle elezioni del 1899 e la nomina a sindaco di Alberto Borciani furono il segno di un cambiamento epocale che mutò profondamente il volto della città. In quegli anni la crescita economica e demografica (la popolazione del Comune passa da 50.000 abitanti nel 1851 ai 70.000 del 1911) portò, come in altre città italiane, all'abbattimento delle storiche mura (avviato già nel 1873) e l'inizio dell'espansione urbanistica verso il forese. L'amministrazione socialista avviò una serie di municipalizzazioni di servizi (farmacie, acqua, elettricità), mentre la Cooperative di Lavoro si organizzavano in Consorzio nel 1904. Dopo la parentesi della sconfitta elettorale del 1904-1907, il Comune socialista proseguì nella sua politica di innovazione sia nel settore scolastico che edilizio (la costruzione delle Case Operaie) mentre l'industria iniziava a consolidare la propria presenza nell'economia locale. La nascita delle OMI (Officine Meccaniche Reggiane) ad opera di Giuseppe Menada nel 1901 era un segnale importante anche per il coinvolgimento nell'operazione di capitale non reggiani.La prima guerra mondiale e il fascismo[modifica | modifica wikitesto]
Come in altre parti d'Italia, anche a Reggio, tra il 1914 e il 1915 si accende fino a raggiungere tragici epiloghi il dibattito tra interventisti e pacifisti. La sera 25 febbraio 1915 scoppiano gravissimi incidenti davanti al Teatro Ariosto, all'interno del quale Cesare Battisti stava proferendo un discorso pro guerra. Le forze dell'ordine sparano per disperdere la folla lasciando sul terreno un morto, Mario Baricchi operaio diciottenne, e diversi feriti gravi. Il giorno seguente un altro ferito, il muratore Fermo Angioletti, anch'egli diciottenne, muore per le gravi ferite riportate.Lo scoppio della prima guerra mondiale accelerò il processo di sviluppo del settore industriale sia per l'attività bellica che nella preparazione di manodopera specializzata che avrebbe contribuito in maniera decisiva allo sviluppo del settore meccanico agricolo. La fine del conflitto e l'acuirsi della scontro sociale furono vissuti drammaticamente nel reggiano dove la predominanza socialista fu confermata nelle elezioni del 1919. Ma questo predominio non fu sufficiente ad opporsi all'azione dei ceti agrari e industriali che trovarono alleati la piccola borghesia commerciale danneggiata dall'affermarsi della cooperazione di consumo per favorire l'insorgere del fascismo. In questo contesto, si segnalò il federale Marcello Bofondi per essere riuscito ad ottenere il superamento dei fortissimi contrasti interni allo stesso Partito Nazionale Fascista reggiano. Andrea Lugli, in uno studio in cui l'opera del Bofondi viene a fondo analizzata, a questo proposito parla esplicitamente di un'attività di "normalizzazione" e definisce il Bofondi una "macchina burocratico-organizzativa"[9].
Nel ventennio fascista si contano nella sola provincia di Reggio 48 assassini politici di stampo squadrista.
La seconda guerra mondiale e la resistenza[modifica | modifica wikitesto]
La seconda guerra mondiale accelerò il razionamento dei beni di prima necessità (nel 1942 si arrivò a razioni quotidiane di 150 g. di pane al giorno/persona), l'inadeguatezza della macchina bellica fascista, il crollo dei fronti di guerra si ripercossero sulla tenuta del regime. Il grande corteo del 26 luglio 1943 che a Reggio salutò la caduta del fascismo e le feste in tutta la provincia ne furono la conferma.Il territorio reggiano diviene luogo di formazione di bande partigiane. La prima, quella dei Fratelli Cervi (figli di Alcide Cervi), pagò con l'uccisione dei sette fratelli l'aver anticipato la lotta armata che comunque dilagò, nonostante l'esecuzione di don Pasquino Borghi [1] e di altri otto patrioti. Complessivamente si contano più di 600 partigiani morti durante la resistenza. Ebbero luogo anche diverse rappresaglie di tedeschi o fascisti nei confronti della popolazione civile. Di seguito si indicano le stragi con più di 20 vittime:
- La Bettola (Vezzano sul Crostolo) 32 uccisi (vedi Eccidio della Bettola)
- Cervarolo (Villa Minozzo) 24
- Legoreccio (Vetto) 23
- Villa Minozzo 22
- Villa Cadè 21
- Ponte Cantone (Calerno) 20
L'8 gennaio 1944 Reggio Emilia fu pesantemente bombardata dagli alleati che, intorno a mezzogiorno, sganciarano a più riprese bombe sulla stazione ferroviaria, le officine Reggiane e il vicino aeroporto. Alcune bombe centrarono abitazioni civili e un rifugio ove avevano trovato riparo numerosi cittadini. I morti tra la pololazione civile furono oltre 250.
Il 25 aprile 1945 segna una svolta storica: si ricostituiscono le amministrazioni democratiche prima sotto la guida del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che aveva condotto la lotta armata, poi con le prime elezioni del 1946 con amministrazioni democraticamente elette. Reggio vede subito il predominio del PCI (Partito Comunista Italiano). Il clima del dopoguerra fu però funestato da numerosi omicidi politici da parte di comunisti nei confronti di avversari politici o di ecclesiastici.
Reggio nel dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]
Dopo una fase di conflittualità caratterizzata tra il '50 e il '51, dal licenziamento di 2100 dei 4904 operai delle reggiane, e un'occupazione della fabbrica durata 493 giorni, Reggio procede a piè sospinto verso la modernizzazione, pur attraverso momenti di tensione sociale e politica.Il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai reggiani, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, furono uccisi dalle forze dell'ordine in quella che passò alla storia come la Strage di Reggio Emilia e che fu immortalata dalla celebre canzone di Fausto Amodei, "Per i morti di Reggio Emilia".
Sul finire degli anni ‘60 Reggio è ormai una città a forte caratterizzazione industriale che tende a svilupparsi secondo una pianificazione urbana dagli esiti controversi. Viene attuato un radicale risanamento del centro storico che comporta la demolizione totale di alcune zone particolarmente povere o insane. È il caso del Borgo Emilio, delle case di via Francotetto (ove ora sorge l'Istituto Levi-Scaruffi) e di vicolo del Mondo, strade note allora ai reggiani per essere le più malfamate. Vengono distrutti i Portici della Trinità in Piazza della Vittoria e al loro posto viene innalzato l’Isolato San Rocco e infine vengono completamente riedificate le case di via Cavagni, altra zona calda della città. Fino agli anni'50 via Borgogna era nota ai reggiani per le case chiuse, col boom economico questa strada e le vicine vie Cavagni e San Martino subirono un radicale risanamento. Gli sfollati del centro vengono così sistemati nei nuovi quartieri costruiti alle porte della città come la Rosta Nuova, la Canalina, il Villaggio Stranieri, il Villaggio Foscato e il Villaggio Catellani.
Negli anni Settanta Reggio vede sorgere il terrorismo legato alle Brigate Rosse. Da Reggio Emilia provenivano i terroristi Gallinari, Franceschini, Paroli, tutti iscritti alla FGCI e al PCI, poi passati alla clandestinità. Le Brigate Rosse reggiane traevano ispirazione, secondo Franceschini, dal mito della resistenza tradita e si ritenevano gli ideali continuatori della lotta partigiana.
Lo sviluppo economico porta ad una intensa emigrazione dal Sud Italia, in particolare dalla Calabria e dal paese di Cutro, con occupati prevalentemente nel settore edilizio.
Dagli anni 80 il benessere raggiunto con lo sviluppo dei principali settori produttivi porta Reggio ai primi posti nelle classifiche nazionali per livelli economici e di alcuni servizi (fra i quali spiccano gli asili comunali).
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ Gino Badini, Luciano Serra, Storia di Reggio.
- ^ Andrea Balletti, La storia di Reggio nell'Emilia narrata ai giovani.
- ^ Le vicende della casata, e in particolare i rapporti di Ottobuono de' Terzi con la città e il territorio di Reggio, sono stati ricostruite nello studio, edito a cura della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, di P. Cont, I Terzi di Parma, Sissa e Fermo, Prefazione di Marco Gentile ("Fonti e Studi", serie I, XXI), Parma 2017.
- ^ A. Pezzana, Storia della città di Parma, I, Parma 1837, p. 63.
- ^ G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi, III, Modena 1794, p. 77.
- ^ A. Gamberini, Un condottiero alla conquista del suo Stato: Ottobuono Terzi, conte di Reggio e signore di Parma e Piacenza in G. Badini, A. Gamberini (a cura di), “Medioevo reggiano: studi in memoria di Odoardo Rombaldi”, Milano 2007, p. 286.
- ^ L’uccisione di Ottobuono de’ Terzi, ovvero del terzo Oto, indicato come di Reggio e di Parma aspro tiranno con il subitaneo disfacimento dei suoi domini diverrà soggetto ed oggetto di nere leggende che ancora oggi si narrano lungo l’Appennino; una figura chesi trova rievocata anche nei versi di Ludovico Ariosto, poeta alla corte dell'Estense, nel canto III del suo poema: Tardi di questo s’avedrà il terzo Oto, / e di Reggio e di Parma aspro tiranno / che da costui spogliato a un tempo fia / e del dominio e de la vita ria. Cfr. L. Ariosto, Orlando furioso, canto III, 43.
- ^ Villa, p. 43.
- ^ A. Lugli, La classe politica dirigente a Reggio Emilia dal 1926 al '43, in Ricerche Storiche, n. 62-63, settembre 1989 (anno XXIII), pp. 59-88.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Carlo Baja Guarienti: “Il bandito e il governatore” Edizioni Viella - Roma, 2014
- Giambattista Bebbi - a cura di Carlo Baja Guarienti "Reggio nel Cinquecento" Edizioni Antiche Porte - Reggio Emilia, 2007
- L.Bolognini "Acque e Strade di Reggio, 1780" Antiche Porte editrice, R.E. 2016.
- Paolo Camellini – Maria Pia Barbolini “Guida di Reggio Emilia – Conosci la tua provincia” Edizioni GES – Bologna, 1982
- Paolo Cont, I Terzi di Parma, Sissa e Fermo, in Fonti e Studi, serie I, XXI, Parma, presso la Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, 2017, ISBN 978-88-941135-5-6.
- Andrea Gamberini, Un condottiero alla conquista del suo Stato: Ottobuono Terzi, conte di Reggio e signore di Parma e Piacenza, in “Medioevo reggiano: studi in memoria di Odoardo Rombaldi”, Roma, 2007.
- Angelo Pezzana, Storia della città di Parma continuata, I, Parma, Ducale Tipografia, 1837.
- Girolamo Tiraboschi, Memorie storiche modenesi col codice diplomatico illustrato con note, III, Modena, Società tipografica, 1794.
- Claudio Villa, I simboli della Repubblica: la bandiera tricolore, il canto degli italiani, l'emblema, Comune di Vanzago, 2010, SBN IT\ICCU\LO1\1355389.
- Istoreco: "20 mesi per la libertà - la guerra di liberazione dal Cusna al Po" Edizioni Bertani&C, 2005 Montecchio Emilia
- “Guida di Reggio Emilia” del 1921 (usato come base per l'articolo)
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